Corte dei Conti: Mancata opposizione al decreto ingiuntivo per prestazioni rese oltre il Tetto di Spesa.
Sussiste la responsabilità contabile.
Con Sentenza della Corte dei Conti Sez. Lazio è stata determinata la sussistenza della responsabilità contabile ed amministrativa a carico dei pubblici ufficiali che non si sono opposti ai decreti ingiuntivi promossi da una struttura sanitaria per la riscossione di somme derivanti da prestazioni rese, ovvero fatturati prodotti, oltre il Tetto di Spesa assegnato alla struttura medesima.
SENTENZA
nel giudizio di responsabilità iscritto al n. .....del registro di segreteria, promosso ad istanza del Procuratore regionale presso la Sezione giurisdizionale per la Regione Lazio nei confronti di:
-omissis-
FATTO
Con atto di citazione depositato in data 4 settembre 2007 la Procura regionale presso la Sezione giurisdizionale per la regione Lazio ha convenuto in giudizio i soprannominati soggetti, per sentirli condannare al pagamento, in solido, a favore della ASL RMC della complessiva somma di euro 2.033.073,08, oltre rivalutazione monetaria, interessi legali e spese di giudizio, così ripartita:
DANNO PATRIMONIALE : Euro 1.033.073,08
DANNO ALL’IMMAGINE : Euro 1.000.000,00
in relazione al pregiudizio patrimoniale sofferto dall'erario conseguente all'omessa opposizione da parte dell'...., allora dirigente responsabile dell'Ufficio affari legali dell'ASL , al decreto ingiuntivo n. (poi sostituito da decreto ingiuntivo n. ) con il quale si ordinava alla suddetta azienda di pagare la somma di €. 990.667,86 a favore della casa di cura il cui rappresentante legale pro-tempore era il sig. , somma in realtà non dovuta per quanto sarà di seguito illustrato e che, con l’aggiunta delle somme accessorie, viene a individuare la prima posta dannosa e cioè il danno patrimoniale.
Con riguardo, invece, alla richiesta risarcitoria del danno all’immagine, ritiene la Procura regionale che la medesima si fondi, oltre che sulle condotte dei convenuti che hanno dato origine al depauperamento patrimoniale appena ricordato, anche su un’altra condotta posta in essere sempre dagli odierni convenuti.
Essa ha riguardo ad un’indebita transazione predisposta da parte di , quest’ultimo nella sua qualità di amministratore unico della . che gestisce la casa di cura , che non ha avuto poi esecuzione a causa della mancata sottoscrizione della stessa da parte del Direttore amministrativo dell’ASL RMC , soggetto peraltro implicato in altre vicende di procurato danno erariale alla suindicata ASL RMC.
In particolare, è risultato, dalla documentazione sequestrata, che avrebbe istruito il procedimento volto alla conclusione dell’accordo transattivo con il chiaro fine di procurare indebiti vantaggi alla e di ricevere come sua contropartita una tangente.
La transazione in parola aveva, infatti, per oggetto il pagamento per le annualità 1996 -.1998 di prestazioni rese dalla casa di cura r che andavano oltre i tetti di spesa assegnati annualmente dalla Regione Lazio alle singole aziende accreditate.
In sostanza, le aziende accreditate avrebbero potuto ottenere, in via transattiva, un riconoscimento del loro credito per prestazioni fornite al di sopra del tetto massimo di spesa soltanto in presenza di particolari presupposti (impugnazione delle delibere sui tetti per i singoli anni di riferimento; sentenza del Giudice amministrativo favorevole al riconoscimento della pretesa), presupposti che, nella specie, mancavano alla predetta casa di cura che, a suo tempo, non aveva prodotto alcuna impugnazione, né di conseguenza poteva essere destinataria di sentenze favorevoli del Giudice amministrativo che riguardavano soltanto le aziende ricorrenti.
Di tutto ciò l’ era perfettamente a conoscenza in quanto l’assenza di presupposti per addivenire alla transazione erano stati al medesimo evidenziati dalla struttura amministrativa aziendale competente in merito, ufficio preposto alla certificazione della validità dei crediti vantati dagli enti accreditati con più note
Per di più lo stesso ufficio aziendale aveva evidenziato all’, e di ciò anche il era a conoscenza che, in precedenza, nell’anno 2000, tra la e la ASL era già intervenuto un atto transattivo, recepito con delibera aziendale n. 475/2000, con il quale la prima si era dichiarata interamente soddisfatta di quanto ricevuto per i crediti vantati dal 1994 al 1998 dalla seconda, rinunciando ad ogni ulteriore pretesa di rimborso per crediti pregressi.
L’accordo corruttivo sotteso alla nuova transazione avrebbe, invece, consentito alla e, per essa ai due convenuti, di percepire somme assolutamente non dovute e questo dimostrerebbe, a giudizio della Procura, il pervicace ed ostinato intento fraudolento dei convenuti di sottrarre ingenti risorse finanziarie destinate alla salute dei cittadini.
I fatti illustrati e sostenuti probatoriamente dalle risultanze dell’istruttoria svolta dal G.O. assumerebbero rilievo in questa sede, ai fini della richiesta condanna per il ristoro del solo danno all’immagine, tenuto conto che la predisposta transazione non è stata poi foriera di danno erariale per la sua mancata sottoscrizione ed esecuzione.
Nell’atto di citazione è stato fatto riferimento anche ad altro episodio che ha riguardo ad un doppio pignoramento ottenuto dalla Nuova Clinica Annunziatella per un importo di oltre 2.800.000 euro che fu indebitamente erogato grazie all’accordo corruttivo tra la responsabile della struttura G...... e l’A.....llo che, nella sua qualità di capo dell’Ufficio legale dell’Asl RMC, non avrebbe opposto alcuna eccezione all’ingiunzione di pagamento, pur essendo le fatture poste a base del decreto ingiuntivo regolarmente già pagate.
Su tale vicenda, estranea al presente atto di citazione, la Procura ha in corso separata istruttoria.
Con riferimento, invece, alla vicenda dalla quale è scaturito il danno erariale patrimoniale, l’istruttoria svolta ha consentito di appurare che la che gestisce la casa di cura privata "è risultata anche in questo caso destinataria di un decreto ingiuntivo avverso il quale l’, sebbene opportunamente e tempestivamente informato dalle strutture amministrative competenti prima citate (U.O.C. ASSARS con nota prot. 42/04 del 19 gennaio 2004 in relazione al primo decreto n. 912/03 e successiva nota 162/04 del 3 marzo 2004 in relazione al secondo decreto emesso in sostituzione del primo n. 145/04) che il presunto credito di € 990.667,86 non era certo, né al momento esigibile, non presentò alcuna opposizione, consentendo così il pagamento non dovuto.
Nelle citate note, infatti, si affermava che la situazione contabile della per l'anno 2001 era tale che, non solo, la medesima non vantava alcun credito, ma anzi risultava debitrice verso l'Azienda sanitaria per una cifra di circa €. 1.069.440,73, avendo la Regione Lazio, con delibera n. 1436 del 31.10.2002, determinato il valore della produzione globale per ciascuna casa di cura, e per la era stata determinata una remunerazione complessiva inferiore a quanto già fatturato e pagato dalla ASL come acconto.
Risulta dalle dichiarazioni rese in sede penale ai C.C. del Nucleo operativo dal dirigente ASL competente Santambrogio, che la somma richiesta dalla non era esigibile in quanto relativa ad una fatturazione che superava il tetto di remunerazione riconosciuto alla casa di cura dalla Regione Lazio con la delibera n. 1436/2002, tanto che la casa di cura era addirittura debitrice verso l'ASL per il medesimo periodo di riferimento, per l'importo riferito in atti.
Sostanzialmente la situazione in concreto era simile a quella precedentemente illustrata: il presunto credito non poteva essere oggetto di decreto ingiuntivo in quanto la che gestiva le case di cure, tra cui la , non aveva impugnato la delibera regionale con la quale erano stati fissati i tetti di remunerazione massima delle prestazioni e, peraltro, non potendo essere destinataria di alcuna sentenza Tar alla medesima favorevole, non poteva beneficiare della erogazione in deroga a quei limiti di spesa.
L’......, pur a conoscenza della situazione, per aver ricevuto in tempo utile a consentire una valida opposizione, le note informative della direzione amministrativa competente ove si chiariva in maniera inequivocabile che la fattura n. 34 del 17 aprile 2003 di importo pari ad €. 990.667,57 non era esigibile per le suindicate ragioni, non si opponeva al decreto ingiuntivo, determinando così il pagamento indebito delle somme.
Ritiene la Procura che la somma complessivamente introitata dalla ....., inclusi interessi e spese, pari ad €. 1.033.073,08, è danno erariale, poiché appare evidente che la grave inerzia dell'Ufficio legale retto dall' ....... abbia provocato l'elargizione non dovuta di denaro pubblico in favore della S......, omissione difficilmente giustificabile atteso che l'AIELLO era a conoscenza , sin dalla prima e sopracitata nota del 19.1.2004, della situazione contabile in cui versava la .......
Sostiene sempre la Procura che la grave condotta omissiva dell'Aiello, come illustrata nell'esposizione del fatto, va valutata anche alla luce delle dichiarazioni rese da ...... e I......
La ...... rivestiva nell’ambito dell’ASL RMC il ruolo di esperta nelle procedure informatiche e destinataria di compiti specifici di informatizzazione dell’Ufficio stralcio che aveva come competenza la trattazione amministrativo contabile delle pratiche afferenti al periodo gestionale 1988-1994 delle vecchie USL confluite nell’ASL RMC. La Garrioli ha descritto il sistema utilizzato con gli altri correi per appropriarsi di somme non dovute, consistente nella mancata registrazione dei pagamenti delle fatture agli enti accreditati che consentiva, così, la ripresentazione delle fatture con duplicazioni di pagamenti anche attraverso transazioni pilotate e pignoramenti concordati illecitamente tra le parti private e l’Aiello.
La I......., meglio conosciuta come lady ASL, titolare di strutture sanitarie che illecitamente si erano appropriate di denaro pubblico con la connivenza del vertice amministrativo dell’ASL C......rio a carico dei quali si sono svolti già numerosi giudizi dinanzi a questa Corte, ha dichiarato espressamente che l’.......era destinatario di cospicue somme di denaro (10-15% delle commesse) per aver predisposto il sistema dei pignoramenti, delle transazioni e dei decreti ingiuntivi non opposti in collusione con i titolari delle aziende private, il che avrebbe consentito una enorme emorragia di denaro pubblico.
La responsabilità dell’.....nella vicenda è ulteriormente confermata dalle confessioni rese dallo stesso durante l’interrogatorio del 19 febbraio 2007, dove ai Pubblici Ministeri penali ha apertamente raccontato del piano criminale utilizzato per lucrare ingenti risorse pubbliche.
Per quanto concerne la posizione del Porcari, amministratore unico della ....... Società Cliniche società per azioni dall'aprile 2001 fino a dicembre 2006, data degli arresti, la Procura ritiene che questi fosse perfettamente a conoscenza di aver intentato un ricorso per avere il pagamento di crediti non dovuti; infatti è stata rinvenuta in atti la nota, indirizzata all'amministratore unico della ....... del 15.3.04 con la quale l'UOC ASSARS chiariva la posizione contabile della clinica sostenendo che la somma a base della fattura del decreto ingiuntivo in esame era stata richiesta impropriamente, ed andava invece regolarizzata con nota di credito, cioè con documento con cui la casa di cura certificava il proprio debito nei confronti dell'Azienda sanitaria; risulta in atti prova che detta nota sia stata regolarmente inviata dal Porcari.
In ordine all’accordo illecito con l’.. il Porcari nell’interrogatorio del 18 dicembre 2006 ha ammesso di aver partecipato al piano delittuoso, di aver dato più volte somme di denaro con assegni circolari all’..... per ottenere indebite erogazioni a favore della ....... di cui era amministratore unico e legale rappresentante, di aver appoggiato la transazione poi non conclusa con l’.......pur sapendo che l’ente non aveva diritto di vantare ulteriori crediti dall’ASL. Prova di colpevolezza, altresì, sarebbe data dalla condanna patteggiata in data 12 giugno 2007 ove il Giudice penale ha riscontrato tutte le condizioni per evitare il proscioglimento dell’imputato.
La piena responsabilità della società S:A:CLI. discenderebbe, secondo la ricostruzione della Procura, dal fatto che la medesima è risultata destinataria delle ingenti ed indebite somme di denaro pubblico attraverso la partecipazione diretta al piano criminoso del suo amministratore unico Porcari.
In sostanza la società convenuta che gestisce le case di cura e in particolare la Fabia Mater, struttura sanitaria aziendale che ha reso le prestazioni in regime di convenzione ma che non essendo dotata di una propria autonomia giuridica fa capo quanto ad organi sociali proprio alla ....... deve ritenersi la diretta destinataria dei fondi pubblici non dovuti, come risulta dall’istruttoria documentale svolta e dalle quietanze rilasciate dopo l’intervenuto indebito pagamento.
In ordine al difetto di giurisdizione di questa Corte eccepito dalla predetta società, la Procura ha richiamato le sentenze della Suprema Corte di Cassazione ove si afferma in modo inequivocabile che il rapporto di servizio con la Pubblica Amministrazione, che è presupposto per incardinare la giurisdizione contabile, si può instaurare anche con soggetti privati, destinatari di risorse pubbliche, aventi come precipuo scopo l’adempimento di un fine pubblico quale può essere nella fattispecie quello dell’assistenza sanitaria ed ambulatoriale, per cui avendo la società intrapreso un’attività di servizio pubblico con l’impiego di risorse pubbliche, deve considerarsi legata alla P.A. regione Lazio da rapporto di servizio idoneo ad instaurare la giurisdizione di questa Corte.
Per le ipotesi dannose contestate con la presente citazione, la Procura ha chiesto il sequestro conservativo ante causam di beni mobili, immobili e di crediti appartenenti ai due convenuti Aiello e Porcari, misura cautelare concessa con il decreto del Presidente di questa Sezione in data 11 gugno 2007 e confermata, con qualche modesta variazione, per l’Aiello con ordinanza n. 445/2007 del Giudice designato, ordinanza non reclamata.
Con memoria depositata in data 3 ottobre 2008, si è costituito il convenuto Aiello che ha preliminarmente eccepito l’inammissibilità dell’atto di citazione in relazione agli addebiti del doppio pignoramento e del tentativo di transazione che sarebbero stati assunti dall’attore come fondanti la richiesta risarcitoria del danno all’immagine diversamente da quanto dedotto nell’invito a dedurre ove sarebbero stati riportati per stigmatizzare il comportamento criminoso ma non al fine dell’imputazione di una posta dannosa.
Ancora preliminarmente eccepisce la pendenza del processo penale le cui risultanze istruttorie sorreggono l’atto di citazione, per cui nessuna responsabilità potrebbe essere attribuita al medesimo fino al passaggio in giudicato della sentenza di condanna e, all’uopo, ha chiesto che il Collegio valuti la possibilità di sospendere il presente procedimento.
Nel merito, la difesa ha voluto innanzitutto precisare la differente posizione dell’Aiello rispetto a tutti gli altri soggetti implicati nella vicenda delle truffe perpetrate ai danni dell’ASL RMC con i quali il medesimo non ha avuto rapporti perché non facenti parte dell’Ufficio legale da lui diretto. Espone le ragioni che avrebbero consentito la sistematica commissione dei reati da rinvenirsi nel caos gestionale amministrativo esistente presso la azienda sanitaria, ove per anni sarebbe stata agevolata la commissione di reati contro il patrimonio a causa della totale irresponsabilità di funzionari preposti alle varie strutture amministrative.
In ordine al tentativo di transazione ordito con il Porcari, la difesa ha precisato che la condotta posta in essere non ha approdato a nessun risultato concreto, per cui la proposta fatta, non avendo avuto alcun pratico effetto, non sarebbe produttiva di danno erariale né tantomeno potrebbe fondare un danno all’immagine, atteso che si è trattato di un "tentativo di delibera abortito sul nascere" al quale, quindi, non ha fatto seguito alcuna accettazione da parte dell’ASL e quindi nessun danno al suo patrimonio.
Con riferimento, invece, all’addebito scaturente dalla mancata opposizione al decreto ingiuntivo, la difesa dell’Aiello ha eccepito che il decreto ingiuntivo in esame si fondava sulla certificazione di debito del 16 aprile 2003 prot. n. 13514 dell'ASL RM/C sottoscritta dal responsabile UOC ASSARS Calcagni e dal responsabile del procedimento A. Fiorelli, dichiarazione, questa, che costituiva una vera e propria ricognizione di debito della ASL RM/C e, in quanto tale, ex art. 1988 cc. "dispensa colui a favore del quale è fatta dall'onere di provare il rapporto fondamentale. L'esistenza di questo si presume fino a prova contraria"; per cui si sarebbe verificata l'inversione dell'onere della prova seconda la quale era il debitore - cioè l'ASL- a dover dimostrare l'inesistenza del debito e del rapporto che ne aveva dato origine; quindi il dott. Aiello per fare opposizione al decreto ingiuntivo, avrebbe dovuto dimostrarne la falsità della certificazione di debito. Nella memoria si è sostenuto che effettivamente risultava inviata dalla UOC ASSARS la nota n. 42/04 e susseguentemente anche la nota n. 162/04, ma si è altrettanto puntualizzato che le stesse affermavano solo che il credito non era certo né esigibile, non dicevano, però, che l'importo di €. 990.665,57 non fosse dovuto anche perché tale affermazione sarebbe stata in contrasto con l’atto ricognitivo e, quindi, non erano mezzi idonei a superare l'inversione dell'onere della prova.
La difesa ha sostenuto che il dott. Aiello non aveva, quindi, elementi per predisporre una valida opposizione al decreto ingiuntivo, né l'Azienda sanitaria gli aveva fornito indicazioni utili in tal senso.
Nella memoria si è evidenziata anche la posizione dei due firmatari della nota di debito cioè il Fiorelli e la Calcagni, cioè gli stessi funzionari che poi avevano firmato sia la nota n. 42/04 che la 162/04 ove si dichiarava la non esigibilità del credito; inoltre si è affermato che non possa considerarsi valida giustificazione quella addotta dai due, di aver cioè subito pressanti sollecitazioni in tal senso dal direttore amministrativo dott. Celotto Mario, perché liquidassero le competenze delle case di cura del secondo semestre 2001.
Le risultanze successive contenute nella deliberazione n. 1348 del 19 dicembre 2006 illustrerebbero le precise responsabilità dei funzionari nell’erogazione delle somme in acconto superiori a quanto dovuto sulla base della delibera regionale n. 1346/2002.
La difesa ha concluso chiedendo il proscioglimento del proprio assistito ed, in via subordinata, per una condanna che tenga conto dell’effettivo danno prodotto da tutti i convenuti in relazione alle condotte poste in essere.
A tal proposito, l’Aiello ha fatto presente di aver subito un sequestro conservativo superiore all’eventuale quota di responsabilità che potrà essere al medesimo attribuita, essendo i suoi beni capienti per il ristoro integrale del danno. Ha chiesto, quindi, al Collegio, in caso di condanna, di individuare esattamente la quota da imputare agli altri convenuti che hanno, finora, subito un minimo pregiudizio.
In relazione, infine, al danno all'immagine, si è sostenuto che lo stesso sia inaccettabile in quanto non essendo il dr. responsabile del danno diretto, meno ancora può esserlo del danno all'immagine che è solo ipotetico, non liquido e non esigibile. Inoltre è stata evidenziata l’assenza di adeguata prova, come anche l’assenza di dimostrazione delle spese necessarie al suo ripristino. In ogni caso si è eccepita l'esagerata quantificazione fattane dalla Procura, di poco inferiore al danno diretto, tenuto conto che, in altri casi, la Procura ha sempre chiesto un danno all'immagine rapportato in misura percentuale inferiore al danno diretto.
Con memoria depositata in data 3 ottobre 2008, si è costituito l'avv. Bianchini per il sig. Porcari Maurizio il quale ha preliminarmente eccepito il difetto di giurisdizione di questa Corte nei confronti del suo assistito in quanto il rapporto di servizio con la Pubblica Amministrazione è solo della S.A.CLI. s.p.a. e non del Porcari in quanto soggetto singolo, per cui illegittimamente sarebbe stata al medesimo notificata la citazione, come anche operato il sequestro conservativo.
Ha eccepito, altresì, l’illegittimità della contestazione mossa, fondata sulla sentenza penale di patteggiamento.
In ordine al danno derivante da predisposta transazione, è stato appurato che il medesimo non si è mai prodotto in quanto la transazione non venne mai firmata e posta in esecuzione; è stato precisato che comunque le somme oggetto di quella transazione erano dovute perche rappresentavano il compenso di prestazioni effettivamente rese, come dimostrato dal fatto che successivamente nel 2005 l’ASL ha riconosciuto i crediti della casa di cura e anche dal fatto che l’annullamento delle delibere regionali sui tetti di spesa avrebbe, comunque, imposto, come poi è avvenuto, alla Regione di giungere a transazione anche nei confronti delle case di cura non ricorrenti, atteso che quegli annullamenti erano destinati, contrariamente a quanto asserito dalla Procura, ad avere efficacia erga omnes. Sul punto è stato allegato un parere del Consiglio di stato n. 578/2001 ove si afferma il carattere erga omnes dei citati annullamenti disposti dal Giudice amministrativo.
Nessuna credibilità potrebbero avere, secondo la difesa, le dichiarazioni della Garrioli e della Iannuzzi circa la destinazione di somme a favore del Porcari provenienti dalla transazione, qualora la medesima fosse andata a buon fine, mentre, invece, il Porcari ha dichiarato di aver sempre operato nell’interesse della ...........
In ordine al secondo addebito, riguardante il pagamento del decreto ingiuntivo di € 990.667,86, la difesa ha sostenuto che si trattava di somme dovute alla casa di cura, come accertato dalla ASL nella nota dell’aprile 2003 da ritenersi vera e propria ricognizione di debito.
Con riferimento al danno all’immagine, anche la difesa del Porcari ne ha contestato la quantificazione e la prova che la Procura non avrebbe fornito, dichiarando altresì che nessuna posta dannosa a tale titolo può attribuirsi a chi, come il Porcari, non è legato da rapporto di servizio con l’Amministrazione danneggiata.
Con memoria depositata il 20 giugno 2007 per l’udienza cautelare, si è costituito l'avv. ...........; in cui evidenzia la piena estraneità della società ai fatti contestati.
In particolare, per quanto riguarda l’addebito della predisposta transazione, la difesa ha precisato che la società aveva soltanto chiesto all’ASL di considerare l’ipotesi di addivenire ad una nuova transazione in considerazione delle sentenze del Giudice amministrativo che avevano annullato le delibere regionali sui tetti di spesa. Nella convinzione che dette sentenze avessero provveduto erga omnes e non solo a favore delle aziende ricorrenti, si era solo prospettata da parte della ...... questa ipotesi che però l’ASL aveva smentito con le note prima citate, al quale aveva fatto seguito in data 20 maggio 2005 la nota di credito della società, per cui i successivi sviluppi della vicenda non sarebbero addebitabili alla medesima ma solo al comportamento personale del Porcari al quale sarebbe stata destinata la somma dell’accordo illecito, qualora la transazione fosse divenuta esecutiva.
Con riguardo al secondo addebito, la ...... ha sostenuto che la fattura n. 34 dalla quale sarebbe derivato il danno patrimoniale è falsa per non risultare nella contabilità della casa di cura ove, invece, si fa menzione della nota di credito.
La difesa ha sostenuto che sia il decreto ingiuntivo che i successivi pagamenti sono stati tutti intestati al Porcari che, avvalendosi della posizione di amministratore unico, avrebbe eluso tutti i controlli societari, divenendo unico fruitore degli indebiti pagamenti.
Infine, con memoria depositata in data 3 ottobre 2008, si è costituita in giudizio l’ASL RMC, rappresentata e difesa dall’Avvocato RICCI Emilio che ha svolto intervento adesivo dipendente a sostegno delle ragioni della Procura erariale, rappresentando l’esistenza del danno patrimoniale contestato ancora da recuperare nella sua integralità, evidenziando l’illecito accordo doloso tra tutti i convenuti nella realizzazione della condotta dannosa e sostenendo le motivazioni sottese all’atto di citazione. Ha dichiarato che sui medesimi addebiti pende il processo penale a carico dell’----, mentre ha confermato la sussistenza della condanna ex articolo 444 c.p.p. che ha definito la posizione del Porcari. Ha insistito per il riconoscimento del danno all’immagine, atteso la gravità delle condotte poste in essere ed il clamore suscitato dalla conoscenza dei fatti sull’opinione pubblica, come attestato dal diffuso spazio accordato dagli articoli di stampa locale e nazionali.
Alla pubblica udienza il Rappresentante della Procura regionale ha sostanzialmente ribadito i contenuti dell’atto di citazione, specificando che le due poste dannose sono riconducibili a comportamenti criminosi di corruzione di tutti i convenuti. In ordine alle questioni preliminari di difetto di legittimazione passiva della ....... e del Porcari chiamato a rispondere anche in proprio, ha fatto riferimento a pacifica giurisprudenza di questa Corte che ha sempre riconosciuto la propria giurisdizione nei confronti di soggetti societari concessionari di servizi pubblici, come anche dei loro amministratori quando agiscono per fini personali ed egoistici.
La Rappresentante dell’ASL interveniente ha ribadito i contenuti della memoria scritta, specificando che l’atto ricognitivo del debito su cui fu emesso il decreto ingiuntivo fu prontamente oggetto di rettifica con l’emissione delle note aziendali sopracitate sulla base delle quali avrebbe potuto essere svolta una valida opposizione.
La difesa dell’..... ha contestato la ricostruzione dei fatti operata dalla Procura sulla falsariga delle risultanze penali: quest’ultime non avrebbero decisiva rilevanza in questa sede nella quale si deve accertare soltanto l’esistenza di un danno erariale. Ha tenuto a precisare, inoltre, che l’...... non avrebbe preso parte al disegno criminoso organizzato da altre persone, tra cui il da cui ha avuto origine lo scandalo della sanità romana e che il medesimo non avrebbe mai intrattenuto rapporti truffaldini con la.... né è stato mai indagato per associazione a delinquere con questi soggetti.
Nel merito, e con riguardo alla mancata opposizione a decreto ingiuntivo, la difesa ha precisato che l’opposizione avrebbe potuto essere formulata e sortire un valido effetto nella misura in cui la struttura aziendale competente, UOC ASSARS, avesse fornito all’ la documentazione necessaria ed, in particolare, se avesse revocato la nota ricognitiva del debito, affermando chiaramente che le somme non fossero dovute. Tale condotta omissiva, attribuibile alla , avrebbe determinato il danno contestato, per cui la difesa ha insistito per la chiamata in causa dei due funzionari. Peraltro, ad oggi, non è stato possibile conoscere esattamente a quanto ammonta il credito vantato dalla nei confronti dell’ASL e se la somma ottenuta con il decreto ingiuntivo non opposto sia stata computata nelle diverse proposte transattive che si è tentato di concludere, a riprova che la somma era dovuta perché le prestazioni sono state effettivamente rese ed andavano retribuite.
Con riferimento alla predisposta transazione, la difesa dell’ha ribadito l’eccezione preliminare di mancata corrispondenza tra i contenuti dell’invito e quelli oggetto di citazione, mentre nel merito ha sostenuto che le somme oggetto del perfezionando provvedimento erano comunque dovute e ciò a seguito dell’annullamento delle delibere sui tetti di spesa che erano state decise dal Giudice amministrativo con valenza erga omnes. In ogni caso la transazione non fu mai firmata e quindi non sarebbe idonea a determinare alcun danno erariale, né, tantomeno, alcun danno all’immagine di cui si è contestata l’eccessiva quantificazione operata dalla Procura.
Con riferimento, infine, al sequestro operato in prevalenza sui beni dell’ e per un ammontare di gran lunga superiore al danno contestato, la difesa ha chiesto una congrua riduzione che tenga conto anche delle somme ( circa €.310.000) che sono state introitate dalla che non potranno essere oggetto di eventuale addebito. Ha concluso, ribadendo le richieste contenute nella memoria scritta.
La difesa del Porcari si è associata alla richiesta di integrazione del contraddittorio nei confronti dei funzionari Calcagni e Fiorelli, responsabili di aver determinato il danno da mancata opposizione a decreto ingiuntivo ed ha, altresì, eccepito che il processo andrebbe sospeso per la notifica dell’atto di citazione anche nei confronti dell’ASL RMB che ha partecipato alla fase cautelare.
Nel merito, ha fatto riferimento al parere del Consiglio di stato n. 578/2001 che ha riconosciuto il carattere erga omnes degli annullamenti delle delibere sui tetti di spesa operati dal Giudice amministrativo per affermare che le somme corrisposte alla in entrambe le ipotesi sarebbero state dovute, come anche la transazione effettuata nel 2000 tra ASL e Fabia non potrebbe avere alcun effetto proprio a causa dei disposti annullamenti.
Ha chiesto di conoscere l’esatto ammontare di quanto dovuto alla ... tenuto conto che quest’ultima avrebbe ricevuto delle somme relative a quelle pendenze contabili.
Infine, l’Avvocato per la ha ribadito le argomentazioni contenute nella memoria scritta, sostenendo che le somme in contestazione erano comunque dovute, che la transazione del 2000 non era una vera transazione a causa degli intervenuti annullamenti delle delibere sui tetti di spesa, che le attività illecite erano comunque riconducibili alla sola persona del Porcari e che non è stato possibile sapere se le somme incassate siano state ricomprese nei recenti tentativi di transazione. In merito al danno all’immagine, la ..... ha contestato che alla medesima venga chiesto il ristoro, essendo la stessa vittima delle azioni delittuose e non l’artefice.
Il Pubblico Ministero e gli Avvocati hanno svolto brevi repliche.
In particolare il P.M. ha specificato che l’ASL RMB è intervenuta nella fase cautelare solo ai fini della dichiarazione di terzo e, per quanto concerne la richiesta di sospensione del processo in attesa della definizione di quello penale, ha mostrato il suo contrario avviso, atteso che i fatti risultanti dal materiale istruttorio raccolto sono di per se idonei a provare la sussistenza del danno erariale contestato.
L’Avvocato per ha insistito sulla necessità di svolgere istruttoria per verificare se l’importo di €. 990.000 sia stato restituito dalla Fabia Mater nelle recenti proposte transattive.
L’Avvocato in rappresentanza dell’ASL RMC, ha specificato che tutti i tentativi di transazione posti in essere non hanno mai interessato questa somma di €.990.000 che resta quindi ancora da recuperare nella sua integralità e che nessuno dei convenuti ha rifuso parte del danno.
DIRITTO
PREMESSA
La fattispecie dannosa sottoposta all’esame del Collegio deve essere esaminata, tenendo conto necessariamente dell’intera e più ampia vicenda riportata brevemente nell’atto di citazione ma emergente in modo più articolato e dettagliato dall’imponente materiale probatorio raccolto e acquisito dalla polizia giudiziaria e versato in atti dalla Procura.
La lettura dei documenti di sintesi, della documentazione amministrativa e bancaria allegata, dei verbali degli interrogatori, delle deposizioni e delle testimonianze rese illustrano in modo completo le modalità di azione e gli accordi corruttivi sottostanti alla organizzazione criminale ideata e creata, anche ricorrendo a strumenti societari, con il precipuo fine di procurare indebiti ed assai cospicui vantaggi patrimoniali a spese della collettività che avrebbe potuto fruire in modo diverso di quelle risorse pubbliche specificamente destinate all’assistenza sanitaria.
Dal complesso delle risultanze istruttorie acquisite dalla Procura regionale, questo Collegio è venuto a conoscenza di una serie di comportamenti posti in essere dai convenuti con totale spregiudicatezza e con specifica e fraudolenta volontà di appropriarsi di somme di denaro senza alcun limite, sfruttando sia la posizione rivestita sia i compiti affidati all’interno della struttura, sia la posizione all’interno di enti privati accreditati e fornitori delle prestazioni, sia la facile manomissione del sistema contabile informatico aziendale, tanto da generare nei medesimi la convinzione di poter continuare senza limiti in questo gioco illecito così ben organizzato ai danni dell’intera collettività.
In presenza di tali schiaccianti evidenze e, a prescindere dagli esiti dei procedimenti penali in corso, alcuni dei quali definiti con modalità abbreviata, il Collegio non può non riconoscere, secondo il suo prudente apprezzamento, che tutti i convenuti hanno dolosamente operato nella realizzazione dell’ingente evento dannoso che non avrebbe potuto realizzarsi senza la materiale attività posta in essere da ciascuno di essi.
Il disegno criminoso sottostante e venuto alla luce dall’attività investigativa della polizia giudiziaria mostra chiaramente il ruolo rivestito e il necessario apporto causale di tutti i convenuti che, pertanto, devono ritenersi solidamente responsabili del danno prodotto, come determinato nell’atto di citazione da accogliere nella sua integralità, anche se con qualche variazione nell’entità del danno all’immagine da attribuire.
Non si possono, quindi, accogliere le deduzioni difensive che pretenderebbero di dissociare le fattispecie del danno erariale prodotto dai comportamenti penalmente rilevanti posti in essere dai convenuti, individuandosi negli accordi corruttivi sottostanti l’elemento psicologico del dolo con il quale sono state poste in essere le condotte da parte dei convenuti.
QUESTIONI PRELIMINARI
Vanno innanzitutto affrontate le questioni dell’eccepito difetto di giurisdizione e della presunta carenza di legittimazione passiva avanzate dal ......
Dagli atti è risultato espressamente che tale soggetto giuridico è stato coinvolto nelle vicende della predisposta transazione e della mancata opposizione a decreto ingiuntivo e, ciò, per stessa ammissione della difesa che ha riconosciuto la veridicità dell’affermazione. Il coinvolgimento è stato determinato dalla condotta posta in essere dall’allora amministratore unico e legale rappresentante della stessa Porcari; con riguardo alla predisposta transazione, fu lui ad avviare il procedimento per verificare la fattibilità della transazione, pur essendo già a conoscenza della impossibilità di addivenire ad una sua conclusione, stante la mancanza dei presupposti (mancata impugnazione delle delibere sui tetti di spesa per gli anni di riferimento 1995-1996 e inesistenza di sentenze del Giudice amministrativo aventi efficacia erga omnes) ed in considerazione dell’avvenuto pregresso atto transattivo intervenuto tra la proprietà e l’ASL sulle medesime pendenze contabili.
Con riguardo, invece, alla richiesta di decreto ingiuntivo, il Porcari era perfettamente a conoscenza del suo carattere indebito, in quanto l’ASL aveva chiaramente risposto di non poter giungere ad una erogazione di somme per le prestazioni rese al di sopra del tetto stabilito per l’anno 2001, invitando, di contro, a produrre una nota di credito che la. .... risulta, poi, aver emesso.
Per quest’ultima vicenda, da cui è scaturito il danno patrimoniale, è stato, pertanto, il Porcari, astretto da difficoltà finanziarie come dal medesimo dichiarate, a concludere un accordo fraudolento con l’......., per lucrare somme che a quel momento l’ASL non avrebbe mai potuto corrispondere.
In presenza di una tale situazione di fatto, se fosse vero l’assunto difensivo in merito alla completa estraneità ai fatti della ....., non si comprenderebbe come mai quest’ultima sia, poi, risultata essere la destinataria della potenziale dannosa transazione ed, ancor di più, non si comprenderebbe come possa essere stata la destinataria del decreto ingiuntivo da cui è scaturito il danno erariale perseguito in questa sede e il soggetto che risulta aver incamerato delle somme, sia pur in parte, derivanti dall’ingiunzione.
A tal proposito, si rammenta che proprio al fine di correggere i dati identificativi del creditore, la a. aveva chiesto l’annullamento del primo decreto ingiuntivo n. 912/03 ed aveva nuovamente riprodotto l’istanza alla quale fece seguito il nuovo decreto ingiuntivo n... tale operazione non avrebbe alcun significato se il destinatario del pagamento avrebbe dovuto essere soltanto il Porcari che gestiva la struttura aziendale .....
L’unica spiegazione possibile è, invece, quella prospettata dalla Procura e, cioè, che il Porcari, utilizzando la sua carica di A.U. e L.R. del predetto soggetto giuridico, abbia a pieno titolo impegnato la società nella truffa organizzata ai danni dell’ASL con conseguente estensione della responsabilità al soggetto giuridico privato.
Tale attività del Porcari, svolta in nome e per conto della società, ha attribuito alla persona giuridica la legittimazione passiva nel processo in corso anche in concorso con la persona fisica del Porcari, fermo restando, ovviamente, il limite della somma chiesta a ristoro del danno che non potrà né dovrà comportare duplicazione di pagamenti.
Né, peraltro, è risultato dagli atti che la società abbia in qualche modo e per il tramite degli organi interni di controllo, disconosciuto gli effetti dell’attività che il Porcari veniva a compiere in nome e per conto della medesima, anzi lo stesso amministratore ha dichiarato agli inquirenti che poteva svolgere la sua azione in maniera del tutto incontrollata, come fece, ad esempio, quando ordinò agli uffici di redigere la fattura che sarebbe poi stata utilizzata per l’ingiunzione e nello stesso momento diede disposizione per l’eliminazione della stessa dalla contabilità dell’azienda con la redazione di una nota di credito, oppure quando decise di chiudere o aprire conti correnti bancari cui far confluire le somme dell’ASL, avendo anche il potere di indicare su quale conto corrente far accreditare le somme provenienti dalla remunerazione delle prestazioni.
In sostanza il Porcari ha utilizzato lo strumento societario piegandolo ai suoi fini illeciti e delittuosi e tale soggetto giuridico si è così trovato ad essere pienamente responsabile del danno prodotto in concorso doloso con l’attività criminale posta in essere dal suo amministratore unico e legale rappresentante pro-tempore.
In ordine, poi, alla prospettata ipotesi di difetto di giurisdizione di questo Giudice avanzata dalla . ed anche dal Porcari in proprio, la stessa è ugualmente infondata in quanto, ormai da tempo, la Suprema Corte di Cassazione (oltre alla giurisprudenza recente citata dalla Procura, vedi anche Cass. SS.UU..n. 1377 del 25 gennaio 2006 in cui la natura privata del soggetto non è di ostacolo alla configurazione della responsabilità per danno erariale) ha riconosciuto pacificamente la giurisdizione di questa Corte su soggetti giuridici privati che, per essere inseriti nell’iter procedimentale di un’attività perseguente fini ed interessi pubblici, sono stati considerati astretti da un rapporto di servizio in senso lato alla P.A., e, quindi, essendo destinatari di risorse pubbliche, vengono ad essere assoggettati alla giurisdizione contabile.
E’ indubitabile, infatti, che la., per avere come finalità statutaria quella di gestione di case di cura che forniscono le prestazioni sanitarie in regime di accreditamento, soddisfa ampiamente interessi della collettività con l’utilizzo di contribuzioni pubbliche, determinando così l’inserimento funzionale del soggetto fornitore nel procedimento amministrativo deputato alla soddisfazione di quegli interessi.
Ugualmente infondata si appalesa l’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dal Porcari come convenuto dell’azione di responsabilità in proprio: per quanto già riferito, il Porcari è l’autore materiale della condotta posta in essere in nome e per conto della., per cui, se da una parte egli rappresenta la società stessa in virtù del vincolo di immedesimazione organica con la medesima, dall’altra partecipa dell’identico rapporto di servizio che lega la società alla Pubblica Amministrazione erogatrice dei fondi pubblici. Ne consegue che la condotta posta in essere dal Porcari può essere assoggettata alla verifica giudiziale di questa Corte.
Le difese hanno eccepito, altresì, che l’azione della Procura si fondi su indizi e documentazione probatoria che deve ancora essere vagliata dal Giudice penale, per cui non potrebbe costituire valido fondamento dell’azione amministrativo-contabile. In particolare, sarebbero del tutto inattendibili le dichiarazioni rese dalla e dalla che avrebbero cercato di alleggerire la propria posizione scaricando le responsabilità sugli altri soggetti convenuti, come anche l’esistenza di una sentenza di patteggiamento a carico del convenuto Porcari non potrebbe costituire prova della sua colpevolezza in questa diversa sede giudiziaria.
Tale eccezione è infondata e deve essere respinta.
E’ stato affermato, infatti, con particolare efficacia, che il Giudice contabile possa formare il proprio convincimento, ai sensi dell’articolo 116 c.p.c., sui fatti scaturenti da indagini penali, quali intercettazioni telefoniche ed ambientali, riscontri documentali, dichiarazioni rese in sede di interrogatorio dinanzi al Pubblico Ministero e/o Gip, confessioni e chiamate in correità anche prima che vi sia stata la fase più propriamente dibattimentale dinanzi al Giudice penale, purché la chiarezza e la convergenza di tutto il materiale probatorio raccolto sia idoneo a formare il libero convincimento del Giudice.
In sostanza, laddove tutta la documentazione acquisita al fascicolo processuale non si presenta al Giudice contabile con aspetti di dubbiosità e, quindi, conseguentemente con necessità di ulteriori approfondimenti o, comunque, di conferme provenienti da altri elementi ancora da accertare, il convincimento del Giudice contabile può liberamente formarsi in quanto tali risultanze vengono in rilievo nel giudizio per responsabilità erariale non quali prove in senso tecnico, bensì quali elementi da valutare anche ai sensi degli artt. 2727 e 2729 c.c..(sul punto vedi giurisprudenza di questa Corte Sezione Calabria n. 1138 del 15 dicembre 2006, ma anche Sezione Lazio n. 1542 del 12 giugno 2006, Sezione Marche n. 728 del 16 luglio 2004, Sezione 1^appello n. 133 del 8 aprile 2004).
E’ stato, pure, affermato che tali risultanze derivanti dal processo penale, proprio perché liberamente apprezzabili dal Giudice contabile, non debbono essere state validamente acquisite e quindi con il rispetto del principio del contraddittorio, in quanto il comma 4 dell’articolo 111 della Costituzione si applicherebbe al solo processo penale, con esclusione del giudizio dinanzi a questo Giudice (vedi Sezione 1^ appello di questa Corte n. 210 del 16 giugno 2003).
Discorso analogo deve farsi con riferimento alla confessione resa dai convenuti durante il processo penale, in quanto tale risultanza, diversamente da quanto accade in quest’ultimo, viene valutata dal Giudice contabile in base al suo prudente apprezzamento, ai sensi dell’articolo 2730 e ss. del c.c. ( vedi Sezione Liguria n. 128 del 12 febbraio 2001, Sezione 1^ appello n. 184 del 20 giugno 2000).
Altrettanto può affermarsi con riguardo alla sentenza di patteggiamento ex artt. 444 e ss. del c.p.p. che ovviamente non fa stato nel presente processo, come espressamente voluto dal legislatore e più volte ribadito anche dalla giurisprudenza di questa Corte, ma al tempo stesso il Giudice può trarre da essa elementi di prova destinati con tutto il restante materiale probatorio a fondare il suo libero convincimento. ( cfr. sezione 1^ appello 21 ottobre 2002 n. 360)
Pur prescindendo dalla natura di questo provvedimento giudiziale che il legislatore ha, comunque, equiparato ad una sentenza di condanna, certo è che l’accertamento compiuto, in assenza della fase dibattimentale, è chiaramente imperfetto ed è questa la ragione per cui, ai sensi della norma dell’articolo 445 c.p.p.( come novellato dall’articolo 2 della legge 12 giugno 2003 n. 134 che ha introdotto il comma 1 bis all’art. 445), da tale decisione non può discendere efficacia automatica di giudicato nei giudizi civili ed amministrativi.
E’ evidente, pertanto, che una mera trasposizione nel processo contabile dei fatti accertati nel processo penale conclusosi con tale modalità abbreviata non sia possibile e, qualora così si operasse, ne seguirebbe l’infondatezza della domanda attorea perché non sorretta da adeguato substrato probatorio.
Al tempo stesso, però, non è precluso al giudice contabile procedere all’esame e alla libera ed autonoma valutazione degli atti e delle risultanze probatorie che la Procura ha acquisito dal fascicolo processuale penale al fine di corroborare l’attività di indagine svolta: in sostanza quegli elementi tratti da altro procedimento costituiscono sicuramente elementi di prova.
Sul punto la Cassazione ha da sempre pacificamente ritenuto che la sentenza resa ex art. 444 c.p.p. costituisce indiscutibile elemento di prova per il giudice di merito il quale, ove intenda disconoscere tale efficacia probatoria, ha il dovere di spiegare le ragioni per cui l'imputato avrebbe ammesso una sua insussistente responsabilità, ed il giudice penale abbia prestato fede a tale ammissione (vedi da ultimo Cass. sez. V civ. 19251 del 30 settembre 2005 e sezione Lavoro n. 7196 del 29 marzo 2006).
Ne consegue che questo Collegio trae il convincimento da quelle risultanze istruttorie penali che si presentano concordanti ed essenziali con le prove raccolte nell’istruttoria della Procura regionale compiuta per il tramite della Guardia di Finanza, che il comportamento dei convenuti ha prodotto con dolo un ingiusto depauperamento dell’erario, per cui fondata si appalesa l’azione dell’attore.
Altra eccezione preliminare mossa dalla difesa dell’ è quella dell’inammissibilità dell’atto di citazione nella parte in cui attribuisce un’ulteriore posta dannosa, cioè il danno all’immagine, come conseguenza di alcune condotte poste in essere che, invece, sulla base dell’invito a dedurre, qualificherebbero soltanto le attività illecite dei convenuti.
Anche questa eccezione è infondata.
Come chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte inammissibilità dell’atto di citazione per non corrispondenza con i contenuti dell’invito a dedurre consegue soltanto laddove le condotte contestate nell’invito a dedurre siano totalmente diverse da quelle poi indicate nell’atto di citazione, cosa che nella specie non si verifica, atteso che alla descrizione particolareggiata dei fatti contestati agli invitati è seguito nello stesso invito a dedurre (da pag. 47 in poi) la chiamata a titolo di responsabilità per danno patrimoniale e per danno all’immagine.
E’ bene, infatti, chiarire subito che tutti i convenuti sono stati correttamente chiamati in solido alla refusione del danno all’immagine per le ragioni indicate nella premessa di questa motivazione e, ciò, sulla base di tutti i comportamenti che hanno dato origine sia al danno patrimoniale in senso stretto cioè quello relativo alla mancata opposizione al decreto ingiuntivo che ha cagionato l’indebito esborso di €. 1.033.073,08, e delle condotte ( predisposta transazione per prestazioni rese negli anni 1995-1996) che, ancorché non sfociate in danno erariale concreto ed attuale, hanno dimostrato il pervicace ed ostinato intento fraudolento di tutti i convenuti nella distrazione di denaro pubblico.
Ugualmente infondata è anche la richiesta di sospensione del presente procedimento svolta sia in relazione alla pendenza del processo penale e sia in quanto non sarebbe regolarmente costituito il contraddittorio con l’ASL RMB, presente nella fase cautelare.
In relazione alla richiesta di sospensione del presente procedimento in attesa della definizione di quello penale, come è noto, nel nuovo codice di procedura penale non è più rinvenibile il principio del rapporto di pregiudizialità obbligatoria del processo penale – previsto dall’articolo 3 del codice pre-vigente – rispetto agli altri processi civile, amministrativo e contabile, bensì viene affermato il principio dell’autonomia e della separatezza dei giudizi amministrativi di danno al fine di realizzare la massima celerità dello svolgimento del processo (sul punto la giurisprudenza di questa Corte è consolidata anche in appello: per tutti vedi sezione 1^appello 5 maggio 2006 n. 104, sezione 3^ appello 16 ottobre 2001 n. 274; sezione 2^ appello 10 settembre 2001 n. 291 ).
Ciò comporta che il Giudice contabile può formare il suo convincimento anche prima della definizione del giudizio penale, specie in casi, come quello in esame, ove la produzione documentale probatoria raccolta nella fase delle indagini è stata assai imponente sia dal punto di vista quantitativo che da quello qualitativo.
Con riguardo, poi, alla seconda argomentazione addotta a sostegno della richiesta di sospensione, basterà ricordare che l’ASL RMB è intervenuta nella fase cautelare ai soli fini della dichiarazione di terzo ma non come soggetto nei cui confronti la presente sentenza deve esplicare i suoi effetti, per cui nessun principio del contraddittorio risulta essere stato violato.
MERITO
Nell’affrontare le questioni preliminari, il Collegio ha dovuto necessariamente anticipare le motivazioni in diritto della presente condanna le quali saranno ora più in particolare esposte nella parte riservata alla trattazione di merito.
Va, innanzitutto, confutata l’affermazione difensiva ... laddove il medesimo ha sostenuto che il decreto ingiuntivo dal quale è scaturito il danno patrimoniale, essendo stato emesso sulla base della nota dell'ASL n. 13514 del 16 aprile 2003, vale a dire sulla base di una nota avente valore di riconoscimento di debito dell'ASL, non poteva essere opposto, stante l’obbligo di fornire al Giudice amministrativo elementi a contrario che l’ non disponeva.
A riguardo nella parte in fatto sono state menzionate le note che l’Ufficio aziendale competente UOC ASSARS aveva inviato all’ per indicare che il presunto credito non era né certo né esigibile: ciò avrebbe quantomeno dovuto indurre il medesimo a fare immediati e tempestivi accertamenti che avrebbero chiarito la posizione.
Risulta agli atti che il decreto ingiuntivo n. 145/04 è divenuto esecutivo in data 25 marzo 2004 e la prima nota dell’ufficio aziendale competente è del 19 gennaio 2004, quindi in due mesi l’avrebbe potuto e dovuto chiedere chiarimenti della mancata certezza ed esigibilità del credito, avrebbe potuto tranquillamente attivarsi, essendo il difensore della struttura aziendale chiamata a pagare a predisporre una valida opposizione ma la sua totale inerzia ha determinato l’esecutività dell’ingiunzione e l’indebito pagamento.
In ordine alla mancata certezza ed esigibilità del credito, era facile individuarla in quanto si trattava di un credito in contestazione tra le parti, avente origine da una lacerante questione controversa, che verrà meglio illustrata in prosieguo, tra gli enti accreditati, tra cui vi era la casa di cura S.A.CLI. – Fabia Mater, e la Regione-ASL circa il riconoscimento pieno delle remunerazioni per le prestazioni rese al di sopra del tetto massimo retributivo, il che di per sé avrebbe legittimato una valida opposizione, senza contare che nelle citate note dell’Ufficio aziendale si affermava che la S.A.CLI. era addirittura debitore di somme nei confronti dell’ASL per una cifra superiore al milione di euro.
Appare, pertanto, quanto mai singolare che il vertice dell’Ufficio legale dell’ASL non conoscesse la problematica sottesa all’emissione del decreto ingiuntivo che da quanto si è appreso costituiva uno degli affari più caldi e controversi, coinvolgente numerosi creditori dell’azienda, per cui non era possibile sostenere che la questione non fosse nota anche nel dettaglio, né tantomeno poteva ritenersi del tutto scontata la tesi difensiva che si fondava sulla possibile estensione dei giudicati amministrativi anche alle case di cura non ricorrenti.
La Regione, infatti, non aveva deliberato il nuovo piano tariffario che secondo le statuizioni del G.A. avrebbe legittimato l’impugnativa delle delibere sui tetti di spesa anche da parte delle case di cura non ricorrenti.
All’epoca, quindi, esistevano soltanto le decisioni giurisdizionali che avevano annullato le delibere regionali a favore delle case di cura ricorrenti e nella motivazione delle decisioni non si dava alcun minimo appiglio per ritenere che le delibere regionali di riconoscimento dei tetti di spesa per gli enti accreditati fossero atti generali, il cui annullamento avrebbe determinato la caducazione di tutti gli atti successivi, ivi comprese le transazioni precedentemente perfezionate, legittimando così tutte le aziende a ricorrere a nuove transazioni e ad avere il riconoscimento dei crediti.
Nessuna rilevanza, poi, possono avere i successivi comportamenti posti in essere tra le parti ed, in particolare, il recente tentativo.di addivenire ad una transazione su tutte le posizioni debitorie, tentativo peraltro fallito, e che, come dichiarato in udienza dall’interventore, non hanno mai riguardato la presente posta dannosa ancora tutta da recuperare.
Questo Collegio, infatti, deve esaminare le condotte dei convenuti nel momento in cui le stesse sono state poste in essere e, al riguardo, ritiene che l’avrebbe potuto, per tutte le ragioni anzidette, fare valida opposizione al decreto ingiuntivo, trattandosi di credito in contestazione.
Inoltre, lo stesso Porcari era perfettamente a conoscenza della falsità della fattura n. 34 di importo pari all’ingiunzione proposta: è emerso in sede di interrogatorio che al medesimo fu detto di redigere questa fattura ma che lo stesso era perfettamente a conoscenza della non debenza della somma, come anche del debito che la aveva nei confronti dell’ASL. Il medesimo ha, infatti, dichiarato che la fattura n. 34 fu successivamente stornata dalla contabilità dell’azienda e il numero fu utilizzato per contabilizzare altra fornitura.
E’ stata, altresì, reperita presso la società la nota n. 9397/04 del 15 marzo 2004 (quindi anteriore all’esecutività del decreto) dell’UOC ASSARS nella quale l’Ufficio amministrativo dell’ASL faceva presente che la somma di €. 990.667,86 relativa alla fattura n. 34 posta a base dell’ingiunzione era impropria ed andava regolarizzata con una nota di credito.
Nonostante tutti questi elementi fossero a conoscenza sia dell’ sia del Porcari, i due, astretti dal vincolo criminoso, hanno omesso qualunque attività determinando l’esecuzione del decreto ingiuntivo avvenuta in data 25 marzo 2004 e il conseguente indebito esborso.
Dacché ne consegue la attendibilità delle dichiarazioni di quando affermano che la condotta dell’ era finalizzata alla percezione indebita di somme tramite il meccanismo della mancata opposizione ai decreti ingiuntivi e ai pignoramenti pilotati: è stato lo stesso nell’interrogatorio del 16 febbraio 2007 a dichiarare come era articolato il piano criminoso per lucrare illeciti profitti, quale era la percentuale che lo stesso riceveva a titolo di tangente e la somma di €. 400.000 a tale titolo percepita per la mancata opposizione all’ingiunzione, fatti che trovano ulteriore conferma nelle dichiarazioni rese dal Porcari in data 16 maggio 2007, ove il medesimo ha raccontato degli accordi illeciti con l’ e di come si sia avvalso della sua carica di amministratore unico per agire in modo incontrollato, versando sui conti della società quello che riteneva di versare, di come preparò la fattura n. 34 che poi fece sparire e di come poteva manovrare liberamente sui conti correnti intestati alla società al fine di parcellizzare il denaro che proveniva dalle aziende sanitarie.
Nelle dichiarazioni rese dall’ si legge, ancora, come la sua mancata presentazione alle udienze di convalida consentiva l’immediato avvio delle procedure esecutive con titoli che erano già stati soddisfatti e per somme che l’ASL aveva già pagato: la Garrioli ha dichiarato che il doppio pagamento di fatture, come l’utilizzazione degli stessi titoli esecutivi era possibile perché l’Aiello, e dopo di lui il Celotto, richiedevano espressamente di lasciare sospese queste fatture nel sistema informatico aziendale.
La Garrioli aveva, infatti, lo specifico compito di coadiuvare il personale interno nella gestione del software aziendale ed era stata preposta alla gestione stralcio della contabilità delle precedenti USL confluite nell’ASL RMC di cui doveva curare l’informatizzazione e, quindi, era molto esperta per manipolare il sistema informatico al fine di individuare le fatture ancora sospese come anche per cancellare le tracce dei pagamenti illeciti effettuati.
L’attività illecita veniva compiuta dalla Garrioli su specifica richiesta dell’e ciò consentiva di effettuare i doppi pagamenti con titoli già saldati, e per tale servizio la stessa era destinatari di cospicue somme di denaro.
Il Collegio, pertanto, dall’insieme di tutte le risultanze acquisite, trae il suo personale e prudente convincimento sulla sussistenza del fine illecito e fraudolento che ha indotto gli odierni convenuti a predisporre gli atti amministrativi in modo da soddisfare l’interesse privato ad incamerare indebitamente le risorse pubbliche.
Con riguardo, invece, alla predisposta transazione poi non conclusa, se è vero, che dalla stessa non è derivato alcun danno erariale, è altrettanto vero che le modalità seguite dai convenuti per tentare di arrivare alla formalizzazione della transazione presentano profili di illiceità in linea con il disegno criminoso dai medesimi perseguito e, quindi, tali condotte, unitamente alle prime, possono e devono essere valutate ai fini della determinazione del danno all’immagine.
Più in particolare, il Collegio ritiene, anche in questa ipotesi, di affrontare la questione ponendosi ex ante, vale a dire verificando le condotte al momento in cui le medesime sono state poste in essere, a prescindere, quindi, dagli sviluppi successivi, ancora privi di esito concreto, di cui la difesa dell’ ha fornito documentazione ma che non possono rilevare in questa sede.
La questione della retribuzione delle prestazioni sanitarie rese dagli enti accreditati nei limiti di un tetto massimo di spesa aveva, come già detto, generato un lacerante contenzioso tra Regione – ASL ed Enti accreditati, in quanto l’ente forniva le prestazioni per le quali otteneva un acconto di remunerazione e, alla fine dell’anno, in relazione al tetto massimo previsto per la categoria di appartenenza, vi era il conguaglio che poteva essere positivo o anche negativo.
Le delibere regionali individuanti i tetti di spesa per singoli anni erano state impugnate dagli enti accreditati al fine di ottenere il riconoscimento della remunerazione delle prestazioni rese per intero ma, nel caso della , i crediti maturati per le prestazioni rese negli anni in contestazione erano confluiti in una transazione volta a superare il contenzioso in atto con la rinuncia a tutti i ricorsi pendenti e con la accettazione di saldi relativi ai vari esercizi in discussione.
L’ASL RMC, con dellbera n. 475/2000 del Commissario straordinario, aveva così operato nei confronti della società . per cui ogni pendenza relativa agli esercizi tra il 1994 e 1999 doveva considerarsi superata con l’accordo transattivo.
Alla fine di dicembre dell’anno 2000, la Regione Lazio emanava due delibere, la DGR n. 2519 del 12 dicembre 2000 e la n. 1790 del 23 novembre 2001, con le quali si autorizzavano le ASL a concludere transazioni con le case di cura che avevano prodotto ricorso e ne venivano fissati dei criteri a seconda dell’anno in cui era maturato il credito.
Nelle premesse della seconda delibera, la Regione dava atto che non aveva ancora riformulato il piano tariffario per l’assistenza ospedaliera convenzionata, come più volte raccomandato alla medesima dalle pronunce del Giudice amministrativo, e a causa di questa omissione la delibera in questione era applicabile alle sole case di cura ricorrenti (come da parere n. 578/2001 della 1^ Sezione del Consiglio di stato prodotto dalle difese).
Orbene, tali delibere non potevano in alcun modo essere applicate all’odierna convenuta e, ciò, non solo perché la medesima non era ricorrente o in possesso di un giudicato amministrativo favorevole, ma anche perché la medesima aveva già stipulato un accordo transattivo per le pendenze contabili di cui alle citate delibere.
Non si può condividere, quindi, l’assunto difensivo che quanto richiesto dalla erano somme dovute per prestazioni rese e quindi non riconducibile al concetto giuridico di transazione: come si è illustrato il contenzioso tra Regione-ASL e casa di cura era stato definito con l’accordo citato nel quale, a fronte delle richieste di pagamento integrale delle prestazioni, la stessa casa di cura aveva rinunciato alla totale remunerazione per le prestazioni rese negli esercizi fino al 1999 e contestualmente aveva rinunciato a proseguire nel contenzioso in atto e futuro. Nessuna legittima pretesa poteva essere vantata dalla per quelle pendenze definite con atto transattivo, a meno di voler impugnare la transazione, cosa che non è stata fatta, se non di recente, come illustrato dalla difesa
Perde quindi di rilevanza tutta la problematica attinente alla questione se l’annullamento delle delibere regionali degli anni 1996-1998 operato dal Giudice amministrativo avesse o meno valenza erga omnes: per le ragioni anzidette esso non poteva riguardare la che per quelle pendenze contabili aveva già concluso una transazione perfettamente valida ed efficace, come pure dimostrato dalla recente necessità di impugnarla.
Al tempo stesso assumono rilievo predominante le condotte di Aiello e Porcari i quali, pur a conoscenza di questa realtà di fatto, forti del clima di lacerante contenzioso esistente in quell’epoca, avevano tentato di stipulare una successiva transazione che non poteva avere alcun fondamento perché era a conoscenza di tutti che quelle pendenze contabili oramai non esistevano più e, quindi, l’atto predisposto era destinato soltanto a far lucrare indebiti profitti ai medesimi.
Le emergenze suindicate trovano concorde riscontro nelle dichiarazioni della che ha parlato di effettive ripartizione di somme tra i due convenuti, unitamente al e all’Ippopotami, altro dipendente infedele implicato in numerosi procedimenti, che sarebbero state effettuate se la transazione fosse andata a buon fine.
La stessa ha, infatti, dichiarato che tutti i convenuti erano al corrente della non debenza della somma, oggetto della proposta transattiva, la quale non si concluse soltanto perché erano sorti dei dissidi tra il , che aveva il potere di firma, e che aveva organizzato il tutto con i complici, sulla ripartizione degli introiti indebiti.
In merito alla non debenza della somma, risulta, agli atti, che la struttura aziendale competente, più volte già citata, sollevò numerose eccezioni ed osservazioni contrarie alla stipula della predisposta transazione con due note, la prima n. 149 del 17 marzo 2005 e la seconda n. 421 del 12 aprile 2005, ma anche in questa fattispecie non si recepirono affatto le giuste indicazioni proprio a causa dell’accordo illecito tra i convenuti che aveva come unico obiettivo quello di sottrarre ingenti risorse al patrimonio pubblico.
Non possono assolutamente essere accolte le eccezioni difensive volte a configurare come legittime le pretese oggetto della stipulanda transazione mediante il richiamo a ricorsi al Tar presentati in epoca successiva alla prima transazione da considerarsi nulla e priva di qualunque efficacia.
Come già detto nessuno dei convenuti, all’epoca dei fatti, aveva sollevato dubbi sulla legittimità dell’intervenuta transazione, mentre invece, risulta provato che l’abilità fraudolenta dell’aveva creato i presupposti per far apparire che le pendenze contabili della fossero ancora da sistemare, e a questo risultato non possono ritenersi partecipi gli altri funzionari ASL che ebbero, invece, a formulare le osservazioni contrarie prima ricordate.
Appare, quindi, giustificata la richiesta della Procura di considerare come gravemente illegittime e fraudolente le condotte poste in essere dagli odierni convenuti, attività che si aggiungono a quelle relative alla ingiunzione di pagamento non opposta, fonte di danno patrimoniale, e ciò al fine di sostenere la richiesta di ristoro del danno all’immagine che, proprio a causa di queste ulteriori dolose attività dei convenuti, assume una rilevanza maggiore ai fini della quantificazione che questo Collegio dovrà operare.
In entrambe le fattispecie dannose esaminate, il Collegio non intravede nessuna colpa, neanche lieve, nel comportamento dei due funzionari nei confronti dei quali le difese hanno chiesto l’integrazione del contraddittorio. Entrambi hanno sempre tempestivamente informato l’Ufficio dell’Aiello e mantenuto contatti con il Porcari rappresentando l’esatta realtà delle posizioni debitorie e creditorie. Anche nella vicenda della mancata opposizione a decreto ingiuntivo, l’attività posta in essere dai due funzionari non può essere considerata a titolo di rettifica della nota ricognitiva ma esplicativa di quella controversa questione che, proprio perché tale, avrebbe giustificato la tempestiva opposizione e l’apertura della fase cognitiva del merito.
Resta, ora, da valutare la sussistenza del danno all’immagine che le difese hanno contestato pure relativamente alla quantificazione effettuata dalla Procura.
Ritiene il Collegio che, a fronte di episodi e vicende di siffatta natura, non può non dirsi verificato il danno all’immagine della Pubblica Amministrazione che è da ritenersi conseguenza diretta della condotta illecita di tutti i convenuti. Tale posta dannosa, anch’essa di natura patrimoniale, è del tutto scissa dalla precedente della quale si è finora parlato.
La Corte di Cassazione (SS. UU. n. 5668/97) ha, infatti, precisato che quando si parla di danno morale nei giudizi dinanzi a questa Corte non si ha riferimento al c.d. pretium doloris ma, appunto, al danno conseguente alla grave perdita di prestigio il quale "se anche non comporta una diminuzione patrimoniale diretta è, tuttavia, suscettibile di valutazione patrimoniale".
In tal modo il danno all’immagine della P.A. ha finito per essere disancorato dall’illecito penale e dalla disciplina di cui all’articolo 2059 c.c. attinente ormai al solo danno morale in senso stretto, per andare a confluire nella categoria generale di danno risarcibile disciplinata dall’articolo 2043 c.c.
Tale ricostruzione ha consentito la tutela risarcitoria del bene immagine senza alcun riferimento alle eventuali conseguenze che da tale lesione possono derivare, per cui questo Collegio, in adesione alla prevalente giurisprudenza di questa Corte dei conti e mutuando la terminologia elaborata dalla dottrina sulla distinzione tra danno-evento e danno-conseguenza, ritiene che il danno all’immagine e al prestigio della Pubblica Amministrazione appartenga al genus del danno-evento.
Ciò comporta, da un lato, una tutela analoga del bene immagine della persona giuridica a quella prevista per beni primari e di fondamentale rilevanza costituzionale quali la salute e l’integrità fisica delle persone fisiche, dall’altro la non necessarietà di provare l’effettiva erogazione di somme per il ripristino del danno sofferto.
In ordine alla valutazione di detto danno, soccorre necessariamente la valutazione equitativa di cui all’articolo 1226 c.c., che è norma che si rivolge al Giudice per determinare la misura di un danno oramai accertato ma non comprovabile nel suo preciso ammontare.
Il Collegio ritiene, però, equo attribuire in solido agli odierni convenuti una quota di danno pari ad €. 500.000, anche alla luce dei criteri "oggettivo", "soggettivo" e "sociale" elaborati dalla giurisprudenza come parametri per la valutazione di equità.
In relazione al primo parametro va considerata la gravità dell’illecito in relazione agli effetti sull’azione amministrativa: da quanto esposto il fenomeno della corruzione, del falso e della truffa nei pubblici uffici costituisce una gravissimo pregiudizio che non può che essere duramente sanzionato in quanto che costituisce un fattore di scostamento notevole dal canone di buon andamento.
Se a tale valutazione si aggiunge quella " sociale", cioè la diffusione avuta all’interno della comunità laziale e dell’intera collettività nazionale, atteso il clamore che hanno provocato le notizie connesse agli eventi in esame, il pregiudizio arrecato assume il carattere di non tenue intensità.
Anche per quanto concerne il profilo soggettivo, si tratta di azioni criminose compiute da un funzionario di alto livello dell’Amministrazione ricoprente incarico di vertice nella Pubblica Amministrazione e, quindi, idoneo più di altri a legittimare un affidamento nell’opinione pubblica, valore che è stato fortemente messo in discussione e che per tale motivo occorre ripristinare, mentre, invece, per la si tratta di una struttura sanitaria che gestisce più case di cura che, nell’amministrare fondi pubblici, ha perseguito fini egostici e deplorevoli, a danno degli interessi della intera collettività.
Sulla somma dovuta a titolo di ristoro del danno patrimoniale complessivamente quantificato in €. 1.533.073,08 deve essere corrisposta la rivalutazione monetaria decorrente dalla data del fatto dannoso al momento del deposito della presente sentenza e gli interessi legali dal momento del deposito della presente sentenza e fino all’effettivo soddisfo.
I disposti sequestri sono convertiti in pignoramento nei limiti delle somme oggetto della presente pronuncia.
Le spese seguono la soccombenza.
PQM
La Sezione giurisdizionale per la regione Lazio, definitivamente pronunciando, condanna .......al pagamento, in solido e in favore dell’ASL RMC, della somma di euro 1.033.073,08, con rivalutazione monetaria ed interessi legali come in motivazione.
Condanna, altresì, tutti i sopraccitati convenuti al risarcimento in solido del danno all’immagine quantificato in euro 500.000,00 con rivalutazione monetaria ed interessi legali come in motivazione.
I disposti sequestri sono convertiti in pignoramento nei limiti delle somme oggetto della presente pronuncia.
Le spese di giudizio, liquidate nell’importo di € 22.449,77 (ventiduemilaquattrocentoquarantanove,77), seguono la soccombenza.